E’ stato un fine settimana in crescendo. Prima c’è stato il battibecco tra il sindaco di Milano Beppe Sala e il vicepremier Luigi Di Maio sulla chiusura domenicale delle attività economiche. Sala con spirito polemico molto milanese – e con un po’ di sicumera, anch’essa molto milanese – ha invitato il governo a chiudere i negozi ad Avellino e a non rompere «le palle» – altra espressione molto milanese – alla capitale industriale (e morale, aggiungerebbero i milanesi) del Paese.

Luigi Di Maio – che non è milanese, ma campano – se l’è presa. E forse non a torto. Ma al posto di far notare i luoghi comuni di Sala («A Milano si lavora, ad Avellino si sonnecchia») ha detto che il sindaco è un «fighetto». E per rendere più pepato l’epiteto ha aggiunto «del Pd». E dire che Sala ha decine di anni di carriera da manager alle spalle, cosa che non si può dire dell’azzimatissimo Di Maio.

Ma l’assurdo l’abbiamo raggiunto ieri, quando Matteo Salvini ha detto all'(ex) alleato Silvio Berlusconi di smettere di lamentarsi come un «frustrato di sinistra», trasformando l’uomo che – parole sue – si è sempre battuto con il sole in tasca contro il comunismo in un vecchio brontolone. E di sinistra.

Il teatrino della politica ha sempre avuto i suoi riti e le sue parole di legno, autoreferenziali e staccate dalla realtà, ma siamo arrivati oltre il limite di guardia. Però vedrete che anche di questo daranno la colpa ai giornalisti.

Editoriale pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 12 novembre 2018