E’ stata una settimana piena di notizie sul fronte della guerra cibernetica che si sta combattendo tra le grandi potenze, cioè Russia, Cina e il blocco occidentale (Stati Uniti e paesi dell’Occidente). Prima l’Olanda ha accusato la Russia di avere messo a segno un attacco contro l’Opac, l’Agenzia per la proibizione della armi chimiche, che ha sede all’Aja, e ha convocato l’ambasciatore russo dopo aver espulso quattro agenti dei servizi segreti militari russi (Gru). Accuse alla Russia sono arrivate anche da Gran Bretagna e Australia, secondo le quali il Gru sarebbe dietro un’ondata di attacchi informatici «indiscriminati e temerari» contro istituzioni, imprese e media. Poi è stata la volta degli Stati Uniti: Il dipartimento di Giustizia Usa, infatti, ha incriminato sette appartenenti al solito Gru per una sfilza di accuse che vanno dagli attacchi al Comitato olimpico all’avvelenamento della ex spia russa Serghiei Skripal.

Ma non è finita qui. Un articolo di Bloomberg BusinessWeek ha accusato la Cina di aver usato piccolissimi chip per infiltrarsi nelle società tecnologiche americane, incluse Apple e Amazon. Grazie ai chip le spie cinesi sarebbero riuscite a raggiungere circa 30 aziende americane. I due giganti del web hanno smentito categoricamente, ma i dubbi restano.

E’ di qualche tempo fa, poi, la scoperta – e la divulgazione – dell’arsenale di «cyberarmi» usate dalle spie Usa. La morale di tutto questo è una sola: gli hacker più pericolosi sono i governi.

Analisi pubblicata sulla Gazzetta di Parma dell’8 ottobre 2018