La settimana scorsa Apple ha presentato, con il solito megashow dalla nuova sede circolare di Cupertino, i nuovi modelli di iPhone, assieme al nuovo Apple Watch. Le novità non sono mirabolanti, come spesso succede con i modelli che vengono denominati «S» che sono delle migliorie rispetto ai modelli che hanno fatto molta innovazione, come l’iPhone 6 e l’iPhone X. Si tratta di smartphone migliori come prestazioni, con processori più veloci, batterie con durata più lunga ecc. La vera novità è che il mercato si attendeva prezzi lievemente in calo oppure invariati e invece questo è successo solo in parte. E’ vero che Tim Cook, il Ceo di Apple, ha presentato un modello «economico» – si fa per dire, visto che il modello base costa 889 euro – l’iPhone Xr, ma è un fatto che il modello più costoso – l’iPhone Xs Max, con uno schermo più largo dell’Xs normale – può arrivare a costare fino a 1.689 euro, più di uno stipendio mensile medio in Italia.

Naturalmente quasi tutti i mass media mondiali hanno enfatizzato quest’ultimo aspetto, facendo anche notare che, mentre Apple continua ad aumentare i prezzi (e le prestazioni), il mondo degli Smartphone Android sta facendo il contrario, diminuendo drasticamente il costo di modelli anche molto sofisticati. Il fatto è che il «brand» Apple è talmente forte che, come accade con gli oggetti di lusso, il prezzo ha solo una piccola parte nella decisione di acquisto. Anzi, è pure possibile che il prezzo alto renda l’oggetto ancora più appetibile perché aumenta il suo potere di «status symbol». E questo si è visto con le vendite dell’iPhone X, modello tremendamente innovativo per il mondo Apple, con il suo riconoscimento facciale molto sofisticato, però con qualche problema di messa a punto. E sopratutto con un pezzo ritenuto stratosferico, visto che in Europa costava più di mille euro. Eppure le vendite sono andate molto bene, anche tenendo conto che molte volte il prezzo, in qualche modo, viene nascosto dal proprio «carrier» telefonico che si accolla parte dei costo dello smartphone «status symbol» per farti acquistare un abbonamento premium, sperando che tu poi, per pigrizia, decida di non cambiare per una tariffa più economica

Il problema vero di Apple, comunque, si chiama Donald Trump. O meglio la politica economica dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Se Trump insisterà ad aumentare la quota di merci cinesi sottoposte a dazi, infatti, la sottile trama logistica di Apple, che produce tutti i suoi telefonini in Oriente, potrebbe lacerarsi in più punti.

Analisi pubblicata sulla Gazzetta di Parma del 17 settembre