«There will be difficult days ahead», «Abbiamo davanti giorni difficili», titolava ieri mattina il «Daily Telegraph», il più conservatore tra i grandi giornali inglesi riprendendo una frase profetica pronunciata la sera prima da Theresa May presentando la bozza di accordo per la Brexit. E i «giorni difficili» per la May sono iniziati subito: con le dimissioni a valanga nel governo, con la sfida ormai pubblica alla sua leadership all’interno del partito conservatore e con la conclamata mancanza di una maggioranza parlamentare, visto che gli unionisti nordirlandesi hanno ritirato il loro appoggio al governo.
Le dimissioni sono pesantissime: ormai se ne sono andati in sette, tra cui il ministro e il sottosegretario alla Brexit (si tratta della seconda sostituzione per questa carica), così come il ministro per l’Irlanda del Nord, la persona che si sarebbe trovata a gestire la vera «patata bollente» cioè la questione del confine-non confine tra Irlanda del Nord e Irlanda. Per non parlare della mozione di sfiducia tra i tories che probabilmente troverà i voti necessari.
Ma i problemi non sono solo all’interno dei conservatori. Le 585 pagine della bozza di trattato, infatti, sono un pasticcio difficilmente digeribile dall’opposizione e che, quindi, difficilmente sarà digerito in Parlamento. Perciò la prospettiva più probabile è quella di un’uscita senza accordi. Una tragedia. Oppure quella di un nuovo referendum. Ma questa rimane l’ipotesi meno realistica. Purtroppo.
Editoriale pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 16 novembre 2018
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